OK, TRUMP È PSICOPATICO, MA COSA SIGNIFICA?

Mi piace quando i commentatori politici descrivono Trump con i tradizionali criteri della politica: strategie, idee, obiettivi... trovo che sia ottima satira. In realtà, essendo Trump uno psicopatico, andrebbe descritto con i criteri della psichiatria. Non è una battuta, non è un insulto, non è un’esagerazione, è solo una descrizione obiettiva: Trump è una persona con un disturbo mentale e questo disturbo si chiama psicopatia:

“Disturbo della personalità caratterizzato da una combinazione di comportamenti interpersonali, affettivi e antisociali, tra cui senso di superiorità, egocentrismo, falsità, povertà affettiva, mancanza di empatia o rimorso, irresponsabilità, impulsività e tendenza a violare le norme sociali”.

È una definizione di Robert Hare, il papà della psicopatia (nel senso che è il primo ad averla definita in modo preciso, non il primo ad averla avuta).
So che alcuni si arrabbiano se associ un disturbo mentale ai comportamenti di uno stronzo, mi dispiace, ma questo non cambia il fatto che Trump sia uno psicopatico. Non lo dico io, eh, che non varrebbe niente visto che non sono un esperto di disturbi mentali (a parte i miei), lo hanno detto frotte di psichiatri e psicologi, per esempio i 27 autori della famosa raccolta di saggi “The Dangerous Case of Donald Trump”.

So anche che viene sempre detto che non è possibile diagnosticare disturbi mentali a distanza senza parlare direttamente con il disturbato, eppure Kent Kiehl (di cui dirò tra poco) lo ha fatto a grande distanza spazio-temporale con Charles Guiteau, l’assassino ottocentesco del Presidente James Garfield, e siccome Guiteau è morto da più di un secolo e non ci sono milioni di persone che lo adorano, nessuno si è lamentato. Come dice Kiehl, nel caso di una persona molto nota di cui è facile reperire informazioni biografiche, è possibile fare una diagnosi di psicopatia a distanza. Trump non solo è molto noto, ma è addirittura ancora vivo; sono stati scritti centinaia di libri su di lui, alcuni anche da stretti collaboratori e parenti, per non parlare della vasta letteratura autobiografica che lui stesso ha prodotto sotto forma di tweet e trueeth, facendo sfoggio di tutto il suo interesse per la verità e della sua grande sensibilità umana.


Questo per dire che, anche se la deontologia professionale vieterebbe le diagnosi a distanza, nel caso della psicopatia queste diagnosi sono comunque attendibili; deontologicamente scorrette, ma attendibili.
Quindi, siccome volevo saperne di più sul modo di ragionare dell’uomo a capo dell’esercito più potente del mondo e avente l’autorità esclusiva di usare a suo indiscriminato piacere un intero arsenale nucleare, ho deciso di comprare il libro “The Psychopath Whisperer” di (appunto) Kent Kiehl. Chissà, mi sono detto, dopotutto io non so niente di psicopatici, magari sotto sotto sono persone carine.
Le prime due righe del libro:

“Fatto: il 25% dei detenuti nelle carceri di massima sicurezza è psicopatico”.

OK.

Kent Kiehl è uno dei massimi esperti mondiali di psicopatici (ha fatto il dottorato con il summenzionato Robert Hare) e le sue ricerche consistono principalmente nel valutare il grado di psicopatia dei più pericolosi criminali e poi scansionargli il cervello per vedere se quello degli psicopatici funziona come quello dei non psicopatici. Sembrerebbe di no, ma su questo c’è dibattito.
Non c’è invece dibattito sul metodo con cui oggi si accerta la psicopatia (traduco direttamente dal libro di Kiehl):

“La checklist creata dal professor Hare è lo strumento che usiamo sul campo per valutare la psicopatia. Contiene 20 criteri che individuano i tratti essenziali dello psicopatico [...]. Questi tratti vengono valutati sulla base dell’intera vita dell’individuo e in tutti gli ambiti della sua esistenza [...] a casa, al lavoro, a scuola, con la famiglia, con gli amici e nelle relazioni sentimentali.
Ognuno di questi venti criteri viene valutato come segue: 0, il criterio non descrive il soggetto in questione; 1, il criterio descrive il soggetto solo in parte; 2, il criterio descrive il soggetto in maniera evidente nella maggior parte degli aspetti della sua vita.
Il punteggio totale va da 0 a 40: per chi ottiene un punteggio maggiore o uguale di 30 c’è la diagnosi clinica di psicopatia”.

Divertente!
Allora vediamo che punteggio fa Trump in una scala psicopatica da 0 a 40!
Sia chiaro, qui non si stabilisce se Trump sia uno psicopatico o no, questo è già stato stabilito dalla moltitudine di professionisti di cui sopra, qui si cerca solo di capire che cosa significa di preciso dire che il Presidente degli Stati Uniti è uno psicopatico.

Un’ultima precisazione prima di iniziare: Kent Kiehl non è tra gli studiosi che hanno detto che Trump è uno psicopatico; il suo libro che sto citando risale al 2014, quando tutti pensavamo che cose come Trump potessero succedere solo nei paesi ex sovietici o in Italia. Che io sappia, Kiehl non ha mai rilasciato nessuna dichiarazione pubblica su Trump, zero, né in bene né in male, il che è sicuramente segno di un comportamento deontologicamente molto corretto.
Ora possiamo finalmente iniziare il nostro gioco. 🎉

1.
LOQUACITÀ E FASCINO SUPERFICIALE

Per chi è minimamente al corrente di tutte le peripezie di Trump, penso basti il titolo di questo primo criterio della checklist per appioppargli subito 2 meritatissimi punti, ma cerchiamo di essere rigorosi: i giochi o si fanno bene o non si fanno.
Allora, Kiehl dice che una tipica caratteristica degli psicopatici è che ti bombardano di parole, in modo caotico ma con grande energia, riuscendo anche a sembrare arguti e piacevoli. Mi rendo conto che associare le parole “arguto” e “piacevole” agli sproloqui di Trump faccia la stessa impressione dei cetriolini nel caffelatte, ma non possiamo dimenticare che questi sproloqui sono piaciuti a 77 milioni di persone; esistono anche loro. Dunque è fuori discussione che Trump riesca ad esercitare un grande fascino su tantissima gente.

Riguardo alla loquacità, Trump è da sempre noto per i suoi interminabili discorsi senza capo né coda pieni di battute, aneddoti, invettive e improvvisazioni comiche in cui passa continuamente di palo in frasca per semplice associazione di idee, e da quando è a capo di un gigantesco movimento politico (stavo per dire “setta di sciroccati”) ha modo di esibirsi in queste sue performance quasi ogni giorno davanti a una o più telecamere. Chi ha dei dubbi su quale punteggio meriti, è pregato di aprire YouTube e ascoltarsi, come ho fatto io, qualche migliaio di questi discorsi.

Punti: 2.

2.
SENSO DI SUPERIORITÀ

Lo screenshot che ho messo all’inizio del post è solo uno degli infiniti esempi dello spropositato senso di superiorità di Trump, ed è un tweet che ha scritto quando era ancora un privato cittadino e non aveva nessun bisogno di raccogliere consensi. Poi, come sia possibile che uno che si vanta in quel modo venga amato invece che preso a sassate, è un profondissimo mistero di questo universo che, a volte, mi tiene sveglio la notte.
I suoi account social e le sue interviste pre e post presidenziali sono piene di esempi in cui si vanta di quanto è intelligente, di quanto è bravo, di quanto è qualsiasi cosa gli venga in mente, e una cosa che tutti hanno notato è che Trump non dice mai semplicemente di essere uno che si piazza bene in un determinato campo della vanità umana, ma dice sempre e immancabilmente di essere il migliore.

“Mi intendo di droni più di chiunque altro”.

“Conosco i tribunali meglio di qualsiasi essere umano sulla Terra, OK?”

“Io capisco la forza di Facebook forse meglio di quasi chiunque”.

“Nessuno nella storia di questo Paese ha mai saputo così tanto di infrastrutture quanto Donald Trump” (sì, sta parlando di sé in terza persona).

“Senti, io mi intendo di energie rinnovabili più di qualsiasi altro essere umano sulla Terra”.

Può bastare?
Sono tutte citazioni raccolte in un vecchio articolo del Washington Post dal significativo titolo “I massimi esperti in diversi campi secondo Trump, la maggior parte dei quali è Trump”.
Giusto l’altro giorno ho visto un’intervista televisiva degli anni Novanta o giù di lì, quindi ben prima che fosse in politica, in cui gli veniva chiesto quale fosse il miglior libro che abbia mai letto: ha risposto “The Art of the Deal”. Indovina chi ha scritto “The Art of the Deal”? Esatto.

Punti: 2.

3.
BISOGNO DI STIMOLAZIONE E TENDENZA AD ANNOIARSI

Dice Kiehl che gli psicopatici si annoiano con grande facilità e questo li porta ad andare male a scuola, sul lavoro e nei rapporti umani; non perché siano stupidi (la psicopatia non ha niente a che fare con l’intelligenza e uno psicopatico può benissimo essere molto intelligente, benché non sia questo il caso), ma perché si distraggono.
Già il fatto che Trump si addormentasse durante il suo processo penale a New York non è male. Dopo di che ci sono tutte le testimonianze di chi ha avuto a che fare con lui in privato. Per esempio Tony Schwartz, il tizio che gli ha scritto “The Art of the Deal”, in un’intervista al New Yorker dice:

“È impossibile farlo concentrare su qualsiasi argomento che non sia la sua autocelebrazione per più di qualche minuto, e anche in quel caso... [...] È impossibile immaginarlo mentre presta attenzione a qualcuno per molto tempo”.

Oppure Gary Cohn, che è stato direttore del Consiglio Economico Nazionale durante la prima amministrazione Trump, dice:

“È peggio di quanto possiate immaginare... Trump non legge niente, nemmeno un promemoria di una pagina, nemmeno dei brevi rapporti di sintesi, niente. Si alza in mezzo alle riunioni con i leader mondiali perché si annoia”.

Ce ne sarebbero tante altre di queste descrizioni, ma ne cito solo ancora una abbastanza divertente perché è di Trump stesso; proviene dalla sua autobiografia del 1990 “Surviving at the Top”:

“Mi annoio troppo facilmente, la mia soglia di attenzione è molto bassa”.

Punti: 2.
È una mia impressione o non sta andando benissimo?

4.
PSEUDOLOGIA FANTASTICA

Bella questa espressione, vero? Sembra quasi un complimento. Kiehl sceglie invece più prosaicamente il termine “mendacità”, ma il tratto della personalità che descrive è lo stesso: non è il semplice mentire, ma è l’abitudine a sparare balle a raffica spesso senza motivo e senza preoccuparsi che siano facilmente smentibili. Gli psicopatici non mentono come gli altri: per gli altri mentire è un’opzione, per gli psicopatici è il modo normale di comunicare.

Trump è un maestro della pseudologia fantastica, gli va riconosciuto, in confronto Berlusconi era Piero Angela. Se dovessi elencare tutte le balle che Trump ha detto e scritto, non mi solleverei da questa tastiera per i prossimi 79 anni. Basti pensare che ha rotto il fact-checking. Non so se ti ricordi, ma prima del 2016 il giornalismo anglosassone era famoso per fare le pulci ai discorsi dei politici, segnalando tutte le imprecisioni e le falsità. Facile quando queste costituivano un insieme finito! Con Trump è diventato presto evidente che questo non era più possibile: se Trump parla per un’ora, ci vuole almeno un’ora di fact-checking, anzi molto di più, perché smontare una balla richiede molto più tempo che dirla (questo potrebbe essere un enunciato del secondo principio della termodinamica).
Ci sono stati anche dei pazzi del Washington Post che hanno provato a contare tutte le balle nei discorsi di Trump: in quattro anni sono arrivati a contarne 30573, circa 21 al giorno. Ci pensi? 21 balle al giorno! E questo solo nei discorsi pubblici, poi ci sono tutte quelle che racconta in privato. Tu quante balle dici in un giorno? Io non credo di arrivare a una al mese.

Sarebbe bello stare qua ore e ore a ricordare le più belle balle di Trump, alcune sono anche divertenti, ma mi tratterrò. Ne cito solo una che ha raccontato di recente in un discorso in Pennsylvania. È solo un piccolo e innocuo aneddoto, ma è perfetto perché esemplifica molto bene la tipica balla da psicopatico: non necessaria, facilmente smentibile.
L’aneddoto è questo: Trump racconta che la buonanima di suo zio, che lavorava al MIT, ha avuto tra i suoi studenti Ted Kaczynski, meglio noto come Unabomber; udita questa incredibile coincidenza, Trump chiede allo zio che tipo di studente fosse questo Kaczynski, e lo zio gli risponde che era davvero molto bravo, tanto che andava in giro a correggere tutti gli altri studenti; fine della storia.
Carina, vero? Peccato che questo zio di Trump sia morto nel 1985, mentre l’identità di Unabomber è stata scoperta solo nel 1996; e ancor più peccato che Ted Kaczynski non abbia mai frequentato l’università in cui insegnava lo zio di Trump.
Come fa uno a inventarsi una roba del genere?

Io sono qui con i 2 psycho punti già pronti, ma diamo retta a quello che ci ha detto Kent Kiehl più sopra: i punti vanno dati guardando l’intera vita del candidato psicopatico, non solo un aspetto; se il criterio della checklist si riferisce solo a un aspetto della vita, bisogna assegnare un solo punto.
E allora guardiamola questa vita!
Mary Trump, sua nipote, ha pubblicato un libro di memorie di famiglia in cui dice che Trump era abituato a mentire fin da giovane. Maryanne Trump, sua sorella, in una registrazione diffusa dal Washington Post, dice che non si può credere alle cose che dice suo fratello, si lamenta della sua falsità e racconta che ha sempre mentito riguardo alla sua ammissione all’università, visto che si è fatto fare il test da un altro.
Mi fermo qui perché mi piacerebbe mantenere questo post sotto i sei volumi.

Punti: 2.

5.
TRUFFE E MANIPOLAZIONI

Per quanto riguarda la sua vita da imprenditore e politico ci sono tutte le condanne e le sanzioni ricevute sia a livello civile che penale che gli fanno già guadagnare un punto; non sto a fare l’elenco perché si trova tutto banalmente su Wikipedia. Vediamo invece se è un truffatore/manipolatore anche nella vita privata.
Oltre al finto test di ammissione menzionato dalla sorella e ad altre cose noiose legate all’eredità di famiglia, c’è il golf: un semplice hobby che alla fine non conta niente e dove non c’è nessun motivo di imbrogliare.
Come si sa, Trump è un grande appassionato di golf, ed essendo ricco e potente ha sempre avuto la possibilità di invitare chi gli pare a giocare con lui: Oscar De La Hoya, Alice Cooper, Samuel L. Jackson e altri. Fin qui tutto ok, anch’io se fossi ricco e potente inviterei a casa mia Nanni Moretti per giocare a Scarabeo. La cosa interessante è che tutte le celebrità che ho citato (e non solo loro) hanno rivelato che Trump bara. Proprio così: ha la fortuna di poter giocare al suo gioco preferito con i suoi idoli e li imbroglia.

“Trump non si limita a barare a golf, ma bara come i classici truffatori da strada con le tre carte. Lancia la palla, la spinge col piede e la sposta. Mente anche sulle sue stesse bugie. Imbroglia, pasticcia e fa quello che gli pare”.

Punti: 2.

6.
MANCANZA DI RIMORSI E DI SENSI DI COLPA

Non esiste nessuna dichiarazione pubblica in cui Trump si sia mai scusato con qualcuno o abbia detto di sentirsi in colpa per averlo insultato o messo in pericolo, due cose che invece fa abbastanza spesso. Per esempio, una cosa tra le tante, nel momento in cui sto scrivendo ha già fatto affondare tre barche di presunti narcotrafficanti uccidendo 17 persone. Erano davvero narcotrafficanti? Boh? Magari sì, difficile dirlo se non c’è stato un processo. Si chiamano omicidi extragiudiziari e Trump, non solo non ha nessun problema a commissionarli, ma se ne vanta pure.

Per quel che riguarda la vita privata, non sono invece riuscito a trovare nessuno che menzioni in modo preciso la sua mancanza di rimorsi o di sensi di colpa. Chiunque abbia avuto a che fare con lui e non sia (più) sul suo libro paga, lo descrive più o meno sempre invariabilmente come un pezzo di merda, ma questo non basta per ottenere il secondo punto. Qui bisogna essere professionali.

Punti: 1.

7.
SUPERFICIALITÀ AFFETTIVA

In tutti i suoi comportamenti e i suoi discorsi pubblici è sempre palese che Trump non prova nessun sentimento di affetto per nessuno. Raramente nomina qualche suo familiare e quando lo fa il risultato è quasi sempre imbarazzante. Per esempio quando parla di suo figlio Barron, l’unica cosa che riesce a dire è che è molto alto, fine. Sembra che non sappia nient’altro di lui. Ha detto talmente tante volte che Barron è alto che viene quasi il dubbio che gli dia fastidio.
Invece con sua figlia Ivanka si è sempre prodigato in tantissimi complimenti sul suo aspetto fisico, ma forse questo non è esattamente affetto paterno.
La sua prima moglie, in un’intervista televisiva, descrive Trump come uno che non si è mai occupato molto dei figli:

“Voleva bene ai suoi figli, ma non era proprio quel tipo di padre che li portava a fare un giro nel parco col passeggino o che giocava a pallone con loro o cose del genere”.

Cioè non era il tipo di padre che faceva il padre. Molto probabilmente l’unica cosa che gli piaceva del fare il padre era la parte del concepimento.

Se ho capito bene, però, con questo termine “superficialità affettiva” non ci si riferisce solo alla superficialità nell’amore per mogli, figli e parenti vari, ma a tutto lo spettro delle emozioni umane. Dice Kiehl che gli psicopatici non sanno provare in modo genuino nessun tipo di sentimento: gioia, dispiacere, ansia, niente.
A questo riguardo non ho trovato nessuna informazione precisa. Inoltre, ora che ci penso, c’è un sentimento che Trump riesce a provare in modo molto profondo e sincero: rancore.

Punti: 1.

8.
INSENSIBILITÀ E MANCANZA DI EMPATIA

Su questo punto il repertorio pubblico trumpiano è molto ricco e di alta qualità. Cito solo un episodio recente particolarmente significativo. Come saprai, un po’ di tempo fa, durante un incontro con gli studenti di un college, è stato assassinato un influencer maghiano che Trump ha definito suo grande amico e per lui come un figlio. Wow, un’espressione di affetto!
Il giorno dopo l’omicidio, fuori dalla Casa Bianca, un giornalista gli fa le condoglianze e gli chiede come si sente dopo avere subito un così grave lutto. Trump risponde sbrigativamente “molto bene”, come se gli avessero chiesto come ha dormito, e subito cambia discorso:

“E tra l’altro, lì potete vedere tutti i camion; hanno appena iniziato a costruire la nuova sala da ballo della Casa Bianca”.

Vale la pena vedere il video perché merita, sembra il famoso meme “Oh no... anyway”.

Anche nella sua vita privata ci sono varie testimonianze di questa insensibilità. Mary Trump racconta che quando suo padre, cioè il fratello di Trump, stava morendo in ospedale, Trump ha preferito andare al cinema invece che stare con lui. Conoscendo il tipo, probabilmente non è neanche vero che è andato al cinema, magari era a casa a guardare la televisione.

Punti: 2.

9.
TENDENZA A SFRUTTARE GLI ALTRI

Un’altra caratteristica degli psicopatici è che si appoggiano molto sugli altri ma poi si vantano di avere fatto tutto da soli.
Com’è noto, Trump si vanta sempre di essere uno che si è fatto da solo, dicendo di avere ricevuto da suo padre solo un “piccolo” prestito iniziale di un milione di dollari. In realtà è stato ampiamente documentato che ha costruito il suo famoso impero finanziario non grazie al suo acume negli affari, ma grazie all’acume negli affari di suo padre, che per decenni gli ha trovato accordi, procurato collaborazioni eccetera, e che lo ha aiutato economicamente con centinaia di milioni di dollari, legalmente e illegalmente, fino a quando è vissuto.

Trump sfrutta tutte le persone che ha intorno indiscriminatamente, in questo è davvero inclusivo: ci sono gli appaltatori edili che si lamentano di non essere stati pagati, c’è lo scultore che gli ha fatto dei meravigliosi elefanti kitsch per il suo casinò che si lamenta di non essere mai stato pagato, c’è l’imprenditrice pubblicitaria che si lamenta di essere stata pagata solo a metà (stesso link degli imprenditori edili) e c’è il già citato ghostwriter di “The Art of the Deal” nella già citata intervista al New Yorker che invece è stato pagato, ma si lamenta che Trump parla del libro come se lo avesse scritto davvero lui. Questa è una cosa che ho visto fare a tante persone nella mia vita e davvero non l’ho mai capita: c’è gente che non solo dice di avere fatto il lavoro di un altro, ma poi riesce persino a crederci. Per me è un superpotere.

Punti: 2.

10.
MANCANZA DI AUTOCONTROLLO

Mamma mia che fatica... non pensavo fosse così difficile il lavoro di Kent Kiehl.

Sono praticamente infinite le volte in cui Trump ha perso il controllo davanti alle telecamere: quando maltratta i giornalisti che gli fanno delle domande che non gli piacciono o quando, preso dalla foga, minaccia di fare arrestare questo o quello perché hanno detto cose poco carine nei suoi confronti. A quanto pare questi comportamenti ai suoi estimatori piacciono.
A tutto questo si aggiungono le altrettanto infinite testimonianze delle sfuriate che fa in privato: i piatti lanciati contro il muro, gli assistenti che gli fanno ascoltare le sue canzoni preferite per calmarlo, le minacce di far giustiziare i collaboratori per tradimento eccetera.
Però (c’è un però) va detto che in pubblico non si è mai lasciato scappare parolacce razziste, cosa che negli Stati Uniti sarebbe considerata grave come qui in Italia bestemmiare. In privato le usa, è stato riportato da più persone (e.g.), ma in pubblico non se ne è mai lasciata sfuggire neanche una. È strano che faccia questo sforzo, perché a questo punto io credo che non ci sia niente che lo possa mettere in cattiva luce agli occhi dei suoi fan, nemmeno denudarsi in mondovisione e infilarsi un gattino vivo nel sedere, però è segno che un minimo di autocontrollo ce l’ha.
Bravo.

Punti: 1.

11.
COMPORTAMENTI SESSUALI PROMISCUI

Qui dico una cosa sola: Stormy Daniels.
Anzi ne dico due: Stormy Daniels e Jeffrey Epstein.

Punti: 2.

12.
PROBLEMI COMPORTAMENTALI GIOVANILI

Nel solito “The Art of the Deal” Trump stesso racconta (cioè Tony Schwartz racconta) che a sette anni ha dato un pugno in faccia al suo insegnante di musica perché secondo lui non sapeva niente, ed è sempre Trump che in un’intervista dice che da ragazzo gli è sempre piaciuto fare a cazzotti, cosa confermata anche da compagni di classe e vicini di casa del tempo: veniva messo talmente spesso in punizione dalla scuola che i compagni chiamavano le punizioni con le sue iniziali: “DTs”.
Una cosa che fa capire bene che testa di cazzo dovesse essere Trump da giovane (anche da giovane), è che a un certo punto, a 13 anni, suo padre decide di mandarlo via di casa e lo spedisce in un collegio militare. Qui, racconta Trump, veniva picchiato ogni volta che si comportava male. Anche tu trovi così piacevole quest’ultima frase? Puoi rileggerla quante volte vuoi.

Punti: 2.

13.
MANCANZA DI OBIETTIVI REALISTICI A LUNGO TERMINE

Un’altra dote di Trump è proprio quella di porsi obiettivi irrealistici, tipo vincere il Nobel per la pace, vincere un Emmy, vendere 2 milioni di copie del suo gioco da tavolo chiamato (indovina un po’) Trump: The Game, conquistare la Groenlandia eccetera, quindi verrebbe da dargli almeno un punto, ma siccome ci sono anche molti obiettivi irrealistici che poi ha realizzato, tipo diventare Presidente, nessuno può escludere che in futuro riesca a realizzare anche gli altri.

Punti: 0.

14.
IMPULSIVITÀ

Qui la faccio corta perché persino quelli che lo hanno votato dicono che Trump parla e agisce senza pensare troppo: un giorno è amico di Putin, il giorno dopo lo minaccia; un giorno il Covid è innocuo, il giorno dopo si vanta di avere sconfitto un terribile flagello; un giorno si commuove parlando della letterina d’amore ricevuta da Kim Jong-un, il giorno dopo dice che è un ciccione; a volte non bisogna nemmeno aspettare un giorno, a volte dice una cosa e poi il suo opposto all’interno della stessa frase.
Poi naturalmente c’è sempre la solita vagonata di testimoni diretti che raccontano increduli quanto quest’uomo prenda le decisioni completamente a cazzo: ex Segretario di Stato, ex Capo di Gabinetto, nipote:

“Donald è oggi più o meno com’era a tre anni: [...] incapace di regolare le sue emozioni, moderare le sue risposte o assimilare e sintetizzare le informazioni”.

L’aneddoto che io preferisco è quello del suo ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale che gli faceva sparire i documenti dalla scrivania prima che li vedesse, in modo che non potesse prendere decisioni affrettate; cioè esattamente quello che uno farebbe se a capo dello Stato ci fosse Abraham Lincoln.

Punti: 2.
Mi piacerebbe telefonare a Kent Kiehl e chiedergli se per caso non si possono dare 3 punti.

15.
INAFFIDABILITÀ

Qui vale più o meno lo stesso discorso di prima: è già tutto alla luce del sole e ci sono le testimonianze di tutti quelli che lo sputtanano, quindi userei questo spazio non per fare un elenco di esempi (cosa che lascio per esercizio), ma per rispondere a un’obiezione che sento aleggiare: “tutti i collaboratori o i parenti di Trump che hanno scritto un libro per sputtanarlo sono persone che per un motivo o per l’altro gli portano rancore, quindi non sono obiettive”.
È possibile, ma questa è un’obiezione che si può ritorcere contro chi la fa: quanti collaboratori o parenti rancorosi di Biden, Obama o Bush hanno scritto un libro per far sapere al mondo che persona orribile fosse l’oggetto del loro rancore? Nessuno. Eppure anche Biden, Obama e Bush hanno avuto Segretari di Stato, consiglieri, avvocati, sorelle, nipoti eccetera. C’è qualche libro di critica politica, ma non ci sono libri che descrivono in modo coerente e pressoché concorde tutti i tratti di un disturbo mentale. Nel caso di Trump questi libri sono centinaia.

Comunque sono 2 punti.

16.
INCAPACITÀ DI ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DELLE PROPRIE AZIONI

Il clima di violenza politica negli USA degli ultimi anni è colpa della sinistra radicale, il ritardo nell’affrontare la pandemia era colpa dell’OMS, non essere riuscito a fare la riforma sanitaria è stata colpa dei suoi senatori, se le borse crollano è colpa della FED o dell’amministrazione precedente, la sconfitta alle elezioni 2020 è stata colpa dei leggendari brogli elettorali (non serve il link, vero?). Qui di seguito riporto quello che ha scritto Barbara Res, sua collaboratrice per 18 anni, nel suo libro (ti pareva) di memorie “Tower of Lies”:

“Incolpava gli altri dei suoi fallimenti, non si assumeva mai le sue responsabilità e si prendeva sempre i meriti degli altri”.

Punti: 2.

17.
MOLTI MATRIMONI

Non so se tre matrimoni possono essere considerati molti, sicuramente si poteva fare meglio (Elizabeth Taylor si è sposata otto volte), però non sono neanche pochi. Poi sappiamo tutti che, se Trump non fosse Presidente, in questo momento sarebbe già sposato con una quarta moglie di sedici anni.

Punti: 1.

18.
DELINQUENZA GIOVANILE

Come visto più sopra, da giovane era uno da cui stare alla larga, però non è mai stato coinvolto in crimini veri e propri, per quelli bisogna aspettare l’età adulta.

Punti: 0.

19.
REVOCA DELLA CONDIZIONALE

Questo è un criterio che non si applica, visto che Trump non è mai stato in carcere. È un criterio importante perché fa capire per quale motivo ci si è impegnati così tanto a definire e misurare in modo preciso la psicopatia: perché gli psicopatici sono recidivi. È pericoloso farli uscire di prigione.

Punti: 0.

20.
VERSATILITÀ CRIMINALE

Finalmente siamo arrivati alla fine!
Qui è facile, basta leggere la qualifica tecnica dell’illecito o del reato di tutti i processi civili e penali che Trump ha perso: “frode”, “distrazione di fondi”, “diffamazione”, “aggressione sessuale”, “falsificazione di documenti”. Non male, eh? Io aggiungerei anche la voce “omicidio”, perché di questo si tratta quando, al di fuori delle leggi del tuo Stato (giuste o sbagliate che siano), decidi di tua iniziativa di uccidere una persona in barca.

Punti: 2.

Bene. Il punteggio totale di Trump è di 30 punti: per un pelo!
Per confronto, il punteggio medio dei detenuti (psicopatici e non psicopatici) nei penitenziari di massima sicurezza, dove ci sono assassini e stupratori, è 22, mentre il punteggio medio di un maschio nordamericano è 4.
Ciò significa che se il Presidente degli Stati Uniti fosse un detenuto, molto probabilmente la commissione per la libertà vigilata gli negherebbe la condizionale, visto che

“Fatto: gli psicopatici hanno una probabilità sei volte maggiore rispetto agli altri criminali di commettere nuovi reati dopo essere stati scarcerati”.

LO TSUNAMI

Fino a qualche anno fa non sapevo nemmeno dove fosse la Polinesia. Per me Polinesia, Maldive, Caraibi e tutti questi posti rinomati per la loro paradisiacità tropicale costituivano un unico blocco indistinto ed erano tutti archiviati nella stessa cartella cerebrale, una cartella essenzialmente vuota. Non so nemmeno quanto fossi consapevole che si trattasse di posti diversi, in oceani diversi, a svariate centinaia di euro di volo gli uni dagli altri. Non si può sapere tutto, no? Quando un argomento non ti interessa è normale non saperne niente; come quando è morto David Bowie e quel giorno, con mia grande sorpresa, ho scoperto che non era Sting (Sting, giusto?).

Della mia passione per le isole tropicali deserte ho già detto (vedi L'isola deserta), quello che non ho detto è che le prime isole che ho sorvolato standomene comodamente seduto nel mio bagno erano, a mia insaputa, isole della Polinesia, in particolare Bora Bora, isola dove oggi non andrei mai per diverse ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare e che possono grosso modo essere riassunte così: è un lunadimielificio pieno di buzzurri (isola tropicale: ✅ deserta: ❌).

Dopo qualche ricerca, la prima cosa che ho scoperto della Polinesia è che la parola "Polinesia" vuol dire tutto e niente, un po' come "Sud America": c'è Tonga, Samoa, le isole Cook, ma per esempio non ci sono le Figi; le Figi sono Melanesia. Per questo motivo ho ristretto il mio campo di interesse alla Polinesia francese. "Ristretto" per modo di dire, visto che la Polinesia francese, pur avendo la superficie del Molise, è sparpagliata su un'area più grande dell'Europa; un paio di isole non sono nemmeno ai tropici: Raivavae e Rapa Iti, quest'ultima da non confondere con Rapa Nui, che è del Cile (come si sarà notato, ora conosco tutta la geografia del Pacifico da Lord Howe alle Galapagos).

Appurato questo, sono passato a verificare se questa famosa Polinesia francese, oltre a essere un paradiso dal punto di vista paesaggistico e climatico, lo è anche dal punto di vista dell'incolumità personale: lo è. Niente ragni, niente serpenti, niente squali eccetera; o meglio: ragni, serpenti, squali eccetera ci sono, ma sono innocui. Per esempio i caratteristici squali di barriera che popolano le lagune (stavo per dire "infestano"), superano a fatica il metro e mezzo e scappano a pinne levate appena ti vedono. Quattordici attacchi non provocati negli ultimi settant’anni, possiamo dire che significa "squali innocui", vero? E nessuno di questi è stato mortale; al massimo ti mangiano un dito, che vuoi che sia? Abbiamo tantissime dita.
La Polinesia francese non è come l'Australia dove mancano solo i velociraptor, e poi ha quel "francese" nel nome che è tanto rassicurante: a colazione hai il tuo pain au chocolat col café au lait e tutti vanno in canoa con la baguette sotto braccio. Sarei stato molto più preoccupato se si fosse chiamata, che so, "Polinesia messicana".
A proposito di Messico, il tasso di criminalità della Polinesia francese è tra i più bassi del mondo, più basso che in Italia. Non è bellissimo? A Taha'a, una delle cosiddette Isole della Società, non mettevamo nemmeno il lucchetto alle bici. A Bologna la bici te la rubano anche se la incateni a una trave d'acciaio dentro a un caveau sorvegliato dall'FBI, e se proprio non riescono a rubartela, te la distruggono (a Bologna distruggono tutto, non ho mai capito perché); invece in Polinesia francese nessuno ti importuna, tutti sono rilassati e la gente non solo si ferma per farti attraversare sulle strisce come in tutti i paesi civili, ma mette pure le quattro frecce per farti capire che ti ha visto e che se ti senti più tranquillo può anche parcheggiare lì e fingere di dormire.
Non c'è nemmeno la malaria, flagello di tanti paesi tropicali, e le zecche non trasmettono il morbo di Lyme, come invece può succedere qui in Italia. C'è un po' di dengue, ok, ma al giorno d'oggi dov'è che non c'è la dengue?
L'unica cosa davvero pericolosa sono gli tsunami se per caso ti trovi su un atollo. Se sei su un'isola montagnosa come Tahiti non c'è problema, basta spostarsi un po' verso l'interno e sei a posto, ma se sei su un atollo, dove l'altezza massima sul livello del mare è circa un umano e mezzo, allora potresti essere discretamente nella merda. Ma per fortuna gli tsunami sono molto rari; preoccuparsi degli tsunami mentre si è in Polinesia francese è come preoccuparsi dei fulmini quando si esce di casa. Chi è che si preoccupa dei fulmini? A parte me, dico.

Ad ogni modo, non è per stare in un posto sicuro che sono andato in Polinesia, se volevo un posto sicuro potevo chiudermi in casa mia, che è il posto più sicuro del mondo, in particolare sotto il tavolo della cucina (Bologna è zona sismica); in Polinesia ci sono andato per tanti altri motivi, ma principalmente per avvicinarmi un po' di più al mio ideale di "essere abbandonato su un'isola deserta" senza essere davvero abbandonato su un'isola deserta (quest'ultimo aspetto è fondamentale).

L'isola deserta, per essere definita tale, deve avere queste due caratteristiche fondamentali: (1) deve essere disabitata e (2) non deve essere visibile nessun segno della presenza umana, né diretto né indiretto, fin dove lo sguardo può arrivare (togliersi gli occhiali non vale); quindi in primo luogo non devono esserci turisti nei paraggi, le persone peggiori da incontrare quando si è in viaggio perché ti ricordano immediatamente che anche tu sei un turista, ma non devono nemmeno esserci autoctoni. Certo, è sempre interessante vedere come vive la gente in un posto totalmente diverso dal tuo, per esempio un posto dove le isole vengono chiamate "terra" (fenua) e i piccoli banchi di sabbia che le circondano "isole" (motu), ma non è questa l'esperienza che più di tutte mi interessa fare; se voglio incontrare gente completamente diversa da me, mi basta andare in pizzeria il sabato sera.
Allo stesso tempo, però, l'isola deve avere alcune altre caratteristiche senza le quali non potrei godere appieno dell'esperienza, vale a dire deve esserci un letto, un bagno con lo sciacquone corredato di carta igienica e circondato da quattro pareti che arrivano fino al soffitto, un soffitto, del cibo e ovviamente internet, per contattare qualcuno nel caso ci fosse un'emergenza, per esempio se finisse la birra. Tutte queste condizioni sono necessarie affinché la sensazione "ah che bello sono su un'isola deserta!" non sia sopraffatta dalla sensazione "oh mio dio sono su un'isola deserta!".

Bene, dopo varie ricerche ho scoperto che queste caratteristiche sono tutte soddisfatte nelle Tuamotu.


Le Tuamotu sono l'arcipelago di atolli più grandi e più remoti del mondo, così remoti che fino agli anni Novanta i francesi ci facevano gli esperimenti nucleari.
Questo per esempio è Tikehau.


Sembra un protozoo.
In tutto sono un'ottantina di atolli, la maggior parte disabitati, e anche quelli abitati hanno pochissimi abitanti, quasi tutti radunati in un piccolo villaggio; le strutture turistiche sono pochissime. Non so se si capisce dove voglio arrivare.


Quando ho visto l'immagine qua sopra sono sobbalzato sul water. 

Un atollo è un sottile anello di isolette di sabbia (motu, appunto) che costituiscono la parte emersa di una barriera corallina più o meno continua; ognuno di questi motu è separato da quelli vicini da stretti bracci di mare (hoa) che in molti casi sono facilmente attraversabili in canoa, a nuoto o addirittura a piedi. Con la bassa marea certi hoa sono talmente poco profondi che l'acqua ti arriva alle caviglie, ma quell'acqua è pur sempre oceano, no? E dunque questi motu, per quanto piccoli e per quanto vicini l'uno all'altro, sono pur sempre isole: isole tropicali deserte a poche decine di minuti di barca da un villaggio dove, se necessario, c'è qualcuno da contattare in caso di bisogno (isola tropicale: ✅ deserta: ✅ non morire: ✅).
A questo punto è stato sufficiente trovare un motu con una casa in affitto e andare lì con un'adeguata scorta di cibo insieme a Maria Paola e due nostre amiche (quando vuoi stare da solo su un'isola deserta, è sempre meglio essere in compagnia).


Perfetta, no?
Pazienza se la casa non aveva l'acqua calda e ospitava un certo numero di insetti (non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi, non ci sono animali pericolosi...), l'importante è che l'isola fosse esattamente come la volevo. Ok, c'era anche una casa abitata sul motu vicino, ma che importa? Bastava guardare sempre nella direzione opposta.

I giorni passati lì mi hanno fatto capire cos'è che mi piace tanto degli atolli: non è solo l'isolamento, i grandi spazi, la natura eccetera, è che il paesaggio è talmente strano che mi fa ricordare che mi trovo su un pianeta di un sistema solare nella periferia di una galassia a disco all'interno di un oggetto che chiamiamo confidenzialmente "universo". Certo, esistono paesaggi anche più strani, tipo l'Antartide o la Fossa delle Marianne, ma sono leggermente meno ospitali. Negli atolli c'è il giusto mix di minaccia cosmica e accoglienza terrestre: sul lato oceano hai le onde che sbattono costantemente contro la barriera con la chiara intenzione di ucciderti; un posto fatto di coralli pietrificati e detriti taglienti, dove non c'è mai silenzio;


mentre sul lato laguna hai il tipico paesaggio da cartolina.


È difficile impedirsi di fare continuamente avanti e indietro tra lato oceano e lato laguna per verificare che due posti così diversi possano essere davvero così vicini.
Ora, non vorrei scadere nel filosofico spicciolo (forse è già troppo tardi), ma il mondo in cui normalmente viviamo, cioè quel mondo fatto di appuntamenti, notizie, scocciatori, parcheggi, telefonate e in generale parole familiari che ricoprono cose che non riusciamo a concepire ("felicità", "morte", "universo" tanto per dirne tre a caso), è un mondo molto comodo perché ci permette di funzionare, ma è finto; è come l'illuminazione artificiale delle città: utile, ma ti impedisce di vedere cos'hai davvero sopra la testa.


Sembra una foto dallo spazio, vero? Invece l'ho fatta banalmente col telefono.

Gli atolli ti aiutano a vedere il mondo com’è veramente: alieno.
Va detto che in questo senso anche lo studio della cosmologia aiuterebbe, ma maneggiare tensori quadridimensionali è molto più impegnativo che spaparanzarsi sulla spiaggia a guardare il mare.
Altra cosa da dire, ancora più importante, è che purtroppo, sia che tu ricorra agli atolli o alla cosmologia, è impossibile riuscire a estraniarsi completamente da se stessi e vedere il mondo in modo autentico fino in fondo. È ovvio: per vedere il mondo nel suo modo di essere completamente non umano, dovremmo riuscire a non essere umani. Anche il solo fatto di trovare un paesaggio bello o un'ipotesi scientifica interessante, significa che stiamo umanizzando il mondo; "bello" e "interessante" sono due cose che stanno nella testa di chi guarda, non nella cosa guardata. Se stessimo davvero percependo il mondo in modo autentico, l'unica cosa che dovremmo provare è disorientamento: non sapere dove siamo, non sapere chi siamo; tutto questo da sobri, eh.
Ed è qui che arriva lo tsunami.

Mentre ero alle Tuamotu, il sito dell'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese pubblica il seguente comunicato:

"Un fortissimo terremoto di magnitudo 8,7 ha avuto luogo nella Kamčatka, nella Russia orientale, il 29 luglio 2025 alle ore 13:25 (ora di Tahiti). Le isole Marchesi [...], a partire dalle 00:57 di mercoledì 30 luglio 2025, sono interessate da un impatto con un’onda oceanica alta da 1,10 m fino a 4 m a Nuku Hiva [...]. Gli altri arcipelaghi della Polinesia francese dovrebbero essere interessati da un innalzamento del livello del mare inferiore a 30 cm, che non richiede evacuazione né messa in sicurezza, ma si raccomanda comunque prudenza: è necessario allontanarsi dalle coste e dai fiumi".
Fine del comunicato.
A prima vista sembra rassicurante: "30 cm", "non richiede evacuazione"... e infatti Maria Paola e le altre vanno a dormire senza problemi, anzi mi trattano pure in modo un po' spazientito quando propongo di chiamare un elicottero e farci trasportare immediatamente in un altro oceano; ma se si legge più attentamente quel comunicato e si considera in modo meno sbrigativo la nostra situazione, si noterà che c'erano vari motivi per non essere del tutto tranquilli.

Prima di tutto c'è quel "dovrebbero"; il comunicato dice "gli altri arcipelaghi dovrebbero essere interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", non "gli altri arcipelaghi saranno interessati da un innalzamento inferiore a 30 cm", fa una bella differenza. Che cazzo vuol dire "dovrebbero"? Vuol per caso dire che l'innalzamento potrebbe essere più grande? Quanto più grande? Siamo qui su un atollo in mezzo al Pacifico, non è che io mi senta tanto tranquillo se mi dici che sta arrivando uno tsunami che non dovrebbe uccidermi.

«Mi scusi, sa per caso dirmi se i funghi dei vostri tramezzini sono velenosi?»
«No, stia tranquillo, dovrebbero essere commestibili».

Poi c'è quella questione dei 30 cm: sono davvero così pochi? Voglio dire, abitando a Bologna non ho molta esperienza di tsunami, ci sono state un paio di alluvioni negli ultimi anni e si sono allagate alcune strade del mio quartiere, ma non credo che questo conti. Cosa succede se arriva un'onda tsunamica di 30 cm mentre sono su un banco di sabbia al livello del mare? Di sicuro si allaga tutto, e va beh, ma non è che per caso quest'onda, benché bassa, ha la forza di trascinarmi in mare? Io non è che sappia nuotare tanto bene; quando sono in mare, appena c'è una minima corrente io mi metto subito a pancia in su e aspetto i soccorsi.
Una delle due nostre amiche cerca di rassicurarmi:

«Tranquillo, con 30 cm ti bagni solo i piedi».
«Tranquillo? Come faccio a stare tranquillo se alle Marchesi, che sono qua dietro, sono previste onde di 4 m?» ("qua dietro" vuol dire 1000 km).
«Dai, 4 m sono pochi! Gli tsunami di cui preoccuparsi sono alti 10 m».

Ho evitato di farle notare che noi quattro abbiamo una statura inferiore ai 4 m e che sfortunatamente non abbiamo ancora sviluppato le branchie.

Infine nel comunicato c'è quell'ultima raccomandazione che mi ha davvero gettato nel panico: "è necessario allontanarsi dalle coste". Ma perché? Se con 30 cm non c'è pericolo, perché mi chiedi di allontanarmi dalle coste? Ma soprattutto come faccio ad allontanarmi dalle coste se sto su un'isola con un diametro di 50 m? L'ho misurato su Google Maps: 50 m. Se mi allontano da una costa, finisco sulla costa opposta. L'Alta Commissione della Repubblica nella Polinesia francese non sa che le Tuamotu fanno parte della Polinesia francese? E che, fra le loro numerose e notevoli caratteristiche, c’è anche il fatto che non è fisicamente possibile allontanarsi dalle coste? Ma ormai tutti questi pensieri li stavo rimuginando fra me e ChatGPT, perché le altre tre erano già nelle loro rispettive stanze a dormire. Dormire! Vorrei tanto avere la serenità (stavo per scrivere "incoscienza") di dormire durante un'allerta tsunami...

A quel punto, il mio piano era questo: mi siedo sul pontile per controllare che il livello del mare non cambi in modo anomalo e intanto aspetto le 00:57, cioè l'ora in cui lo tsunami dovrebbe arrivare alle isole Marchesi; dopo di che cerco in rete informazioni sui danni provocati e l'effettiva altezza delle onde, e in base a questo decido il da farsi: se a Nuku Hiva non è arrivata la famosa onda di 4 m, allora posso stare tranquillo e andare a dormire, se invece è arrivata allora noi saremo i prossimi; calcolando che la velocità tipica di uno tsunami in mare aperto è circa 500-800 km/h, avrei avuto un margine di 1:30-2 ore per mettermi in salvo, quindi avrei preparato lo zaino con acqua, cracker e madeleine, e poi sarei andato a svegliare Maria Paola e l'avrei convinta a salire con me su una canoa per andare in mare aperto, dove l'onda dello tsunami sarebbe stata più bassa; pazienza per le nostre due amiche, non sarei mai riuscito a convincerle del pericolo.
Era un piano perfetto, peccato che, quando arrivano le 00:57, di Nuku Hiva non c'è nessuna notizia in rete; passa l'una e ancora niente; l'una e mezza, niente; il comunicato, che ormai avevo letto 516 volte, dice infatti che lo tsunami sarebbe arrivato "a partire dalle 00:57" non "alle 00:57" (ma chi è il sadico che scrive questi comunicati?); le due e ancora niente; il tempo passa e dalle Marchesi non arriva nessuna notizia. Vado avanti così ancora per un po' finché, senza nessun preavviso, il mio corpo decide di addormentarsi: lui ha capito che non sarebbe arrivato nessuno tsunami.

Non so quanto avrò dormito. A un certo punto mi sveglio di colpo in mezzo alla notte e provo quella tipica sensazione che penso tutti abbiamo provato qualche volta quando ci svegliamo in un posto diverso dal solito: per qualche secondo non so più dove sono né chi sono, era come se fossi apparso per la prima volta dal nulla.
Penso che siano questi i momenti in cui riusciamo a vedere il mondo com'è veramente, solo che non serve andare fino in Polinesia, basta addormentarsi sul divano.

COSA DICEVA PLATONE DEI QUALUNQUISTI

C’è un passo nella Repubblica di Platone in cui si parla dei qualunquisti. Ovviamente al tempo non erano chiamati così, ma "isoti", cioè "equiparatori", dal verbo "ἐξισόω" che significa rendere uguale, livellare​. Gli equiparatori erano quelli che dicevano cose del tipo "Cleone e Pericle alla fine sono la stessa cosa".
È incredibile come 2500 anni fa ci fossero già tutti i tipi umani che oggi contribuiscono a rendere il mondo una merda: i populisti che fanno gli amici delle masse (demagoghi), i loro tirapiedi che sperano in qualche tornaconto (sicofanti), i boccaloni che si bevono tutto (euetei) e i qualunquisti che scambiano la propria ignoranza per saggezza (isoti).
Il passo è questo qua.

«Dimmi, Adimanto, chi è peggiore tra il demagogo, i suoi sicofanti, gli euetei che lo sostengono e gli equiparatori, che appiattiscono ogni differenza tra giusto e ingiusto, credendo così di essere più saggi degli altri?»

«Non mi sembra giusto chiamare ignoranti gli equiparatori,» rispose Adimanto. «Sono cittadini come noi, non schiavi o donne, e hanno facoltà di esprimere il loro pensiero».

«Risparmiami la tua morale, ti prego,» replicò Socrate, «giacché sai che la virtù non si conquista simulando di possederla. Piuttosto dimmi chiaramente il tuo giudizio».

«Se devo rispondere,» disse Adimanto, «penso che i sicofanti siano i peggiori: delatori e opportunisti sempre pronti a compiacere i potenti per ottenere favori. Il demagogo sfrutta passioni e istinti diffusi nella massa, ma sono i suoi sicofanti – consiglieri, sofisti, oratori – a trasformare la sua retorica in potere concreto. Costoro amplificano le sue falsità per trarre vantaggio dal disordine che essi stessi generano».

«Ciò che dici è corretto. Eppure,» ribatté Socrate, «i sicofanti hanno almeno un tornaconto personale, mentre gli euetei non solo non ottengono nulla, ma danneggiano anche se stessi».

«Questo è vero,» rispose Adimanto, «ma gli euetei sono vittime ingannate da falsità, timori e vane illusioni, mentre l’errore più grave resta dei sicofanti, poiché senza di loro il demagogo rimarrebbe solo una figura ridicola priva di potere, simile ai mimi di strada».

«Considera, tuttavia,» osservò Socrate, «che gli euetei, sostenendo i propositi iniqui del demagogo, agiscono spinti dall'odio senza ottenere nulla in cambio. A differenza dei sicofanti, il loro male è duplice, poiché alla malvagità uniscono l’incapacità di discernere. Chi dunque è peggiore, caro Adimanto: chi fa il male consapevolmente a proprio vantaggio o chi lo fa inconsapevolmente a proprio danno?»

«Peggiore,» rispose Adimanto, «è certamente chi agisce senza sapere ciò che fa».

«E allora chi è peggiore, gli euetei o i sicofanti?» domandò Socrate.

«Gli euetei,» disse Adimanto senza esitazione. «Perché un sicofante, per quanto meschino, può essere confutato con il ragionamento, mentre una massa cieca e adorante, incapace di ragionare, è incontrollabile».

«Sono d'accordo con te!» disse Socrate. «Ora dimmi, sai perché gli equiparatori sono persino peggio degli euetei?»

«Lo so bene,» rispose Adimanto, «perché essi, pur avendo in sé la capacità di discernere il giusto dall'ingiusto, vi rinunciano per ignoranza e affermano che tutto è uguale, sottraendosi così alla responsabilità di opporsi al male».

«Ben detto, Adimanto!» rispose Socrate, e aggiunse «gli equiparatori scambiano la loro ignoranza per un'indistinzione propria dell'essere, come chi avendo la vista offuscata crede che il mondo intero sia avvolto nella nebbia. Gli euetei almeno riconoscono la malvagità del demagogo e lo appoggiano proprio perché la trovano conforme ai loro desideri, invece questi maledetti isoti, a causa della loro superba ignoranza, non riescono nemmeno a vedere la differenza tra un uomo probo e un malfattore».

«L'ignoranza», aggiunse Adimanto, «è un vizio ben più grave della stupidità, poiché mentre lo stupido è privo di colpe, essendo tale per natura, l'ignorante è responsabile della propria condizione».

«Mi hai tolto le parole di bocca, Adimanto!»

«Bene, Socrate! Vedo che siamo sulla stessa linea. 🚀»

IL MIO AMICO CIOP

I ragni mi hanno sempre fatto paura. Fino a poco tempo fa, se per caso ne vedevo uno in casa, lo ammazzavo istantaneamente, senza nemmeno chiedermi se fosse un innocuo ragno arlecchino (Salticus scenicus) o un pericolosissimo ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney (Atrax robustus); nemmeno sapevo che esistessero i ragni arlecchino o i ragni di Sydney, l'unica cosa che sapevo dei ragni è che mi facevano paura. Non è colpa mia se sono creature mostruose.

Poi, qualche anno fa, ho iniziato a seguire Nicola Bressi su Twitter, un naturalista e zoologo che con grande pazienza risponde a tutti quelli che gli mandano foto di ragni, insetti e altri esseri immondi per sapere se sono innocui o se è il caso di bruciare la casa e cospargere le macerie di sale. Nella quasi totalità dei casi sono innocui (mai fidarsi delle apparenze). Piccolo inciso: non poter più seguire Nicola Bressi è uno dei motivi per cui mi spiace avere abbandonato Twitter, ma come si fa? Ormai pubblicare contenuti su quel social mi faceva sentire come uno dei 50000 dipendenti che lavoravano alla produzione di uniformi delle SS: il tuo contributo è irrilevante, ma ti senti comunque un po' una merda.

Pian piano, grazie a Nicola Bressi e alla sua attività divulgativa, ho imparato a conoscere i ragni, perlomeno quelli più comuni, e adesso posso dire di non avere più paura. O, meglio, non ho più paura dei ragni innocui, mentre ho ancora paura di quelli pericolosi, ma in ogni caso molta meno paura rispetto a prima, quando non ne sapevo assolutamente niente. È sempre così: l'ignoranza ti fa avere paura.

Ora so che in Italia ci sono solo due specie di ragni potenzialmente pericolosi: la malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus), che si trova solo all'aperto (dunque basta non uscire mai di casa) e il famoso ragno violino (Loxosceles rufescens) che, è vero, si è adattato a vivere nelle nostre case, ma ora so più o meno riconoscerlo: è grande circa 5 cm (zampe comprese), non fa ragnatele, vive nascosto sotto i mobili o dietro i quadri, esce solo di notte per cacciare, non caccia esseri umani.
Quindi, in sintesi: se trovi in casa un ragno piccolissimo o enorme, è innocuo; se è appollaiato nella sua ragnatela, è innocuo; se sta andando in giro per casa di giorno, è innocuo: probabile che si tratti di un banale ragno delle case (Tegenaria domestica). E poi, altro fondamentale motivo per non avere paura nemmeno dei ragni pericolosi, è che non sono interessati a noi; per un ragno noi siamo parte del paesaggio, non gli viene neanche in mente di attaccarci senza motivo (a parte il suddetto ragno dalla ragnatela a imbuto di Sydney, che però per fortuna sta a Sydney).
Per tutti questi motivi ho smesso di uccidere ragni a caso. Certo, se la sera, appiattendosi sotto la porta, mi entra in casa un Hogna radiata, lo prendo immediatamente a ciabattate. Mi spiace Hogna radiata, fai troppo schifo. Ma a parte questo, i ragni non hanno più niente da temere da me (ora che ci penso, anche gli Zoropsidi non possono stare del tutto tranquilli).

Un giorno, l'estate scorsa, vedo sul pavimento vicino alla finestra della cucina un mucchietto di moscerini morti. Strano. Com'è possibile che tutti questi moscerini siano andati a morire nello stesso posto nello stesso momento? Guardo in alto e sul soffitto, nell'angolo vicino alla finestra, vedo un ragno di circa 5 cm comprese le zampe (prendo la ciabatta) appollaiato nella sua ragnatela (poso la ciabatta) che se ne sta lì senza paura in pieno giorno (ho controllato, era giorno), dunque non può essere un ragno violino.
Infatti è un ragno ballerino (Pholcus phalangioides), che non solo è innocuo (i suoi cheliceri sono troppo piccoli per trapassare la pelle umana e inoltre non avrebbe mai la pazienza di avvolgere tutta una persona in un bozzolo di tela), ma è per di più estremamente utile, come stava lì a dimostrare il mucchietto di moscerini morti sul pavimento.
Poco distante, in una rientranza del controsoffitto, vedo che ce n'è un altro. Evviva!

Li ho chiamati Cip e Ciop: Cip è quello più defilato, Ciop è quello sopra la finestra della cucina. Sì, lo so, sono due nomi di merda, ma purtroppo sono i primi nomi che mi sono venuti in mente quando li ho visti. Se mi fossi preso un po’ più di tempo per pensarci, li avrei chiamati Secerno e Sgambetti, i nomi che avrei voluto dare ai miei figli se per sbaglio ne avessi avuti, ma ormai è andata così: Cip e Ciop.
Io do sempre i nomi alle cose, per esempio il Ficus elastica nello studio si chiama Rodrigo, il roomba si chiama Renato, il servo muto in camera si chiama Ambrogio. Che poi, mi dico, che bisogno c'era di chiamare Ambrogio un oggetto che ha già un nome così bello: "servo muto", le due caratteristiche che più si apprezzano di una persona.

Cip e Ciop sono due creature davvero eccezionali: se ne stanno sempre nello stesso posto, non sporcano (cadaveri di moscerini a parte) e le loro ragnatele sono praticamente invisibili, ma soprattutto ti ripuliscono la casa di moscerini e zanzare senza dovere spruzzare insetticidi o spendere due milioni e mezzo di euro per installare delle zanzariere. E non è finita, bonus aggiuntivo: se un eventuale ragno violino dovesse finire nella loro ragnatela, lo mangerebbero. È inevitabile che uno si affezioni.

Finalmente anch'io ho degli animaletti domestici da accudire. Per qualche motivo il mio preferito è Ciop, non so perché, sarà che è quello che ho incontrato per primo, ma anche Cip mi sta simpatico.
I ragni ballerini hanno molti pro rispetto a cani e gatti: non devi pulire lettiere o altro, non devi mai comprargli da mangiare, non ti distruggono la casa, non vanno portati fuori di tanto in tanto, non puzzano, sono perfettamente autosufficienti e non hanno quella discutibile abitudine che hanno i gatti di ostentare il loro ano, che, per quanto sia innocuo, è difficile dimenticare a cosa serva, soprattutto quando ti si siedono in faccia mentre dormi. I ragni ballerini non so nemmeno dove ce l'abbiano, l'ano; a dir la verità non so nemmeno se ce l'hanno, cosa che li renderebbe delle creature perfette.
Purtroppo hanno anche dei contro, per esempio non sono particolarmente affettuosi: non ti fanno le feste quando torni a casa, se provi ad accarezzarli scappano come impazziti e non cercano mai la tua compagnia, neanche per sbaglio.
Quanto sarebbe bello se Ciop venisse a dormire sul letto insieme a me quando Maria Paola è via per le sue missioni, se la mattina mi svegliasse delicatamente con le sue zampette, se si raggomitolasse sulle mie ginocchia quando leggo un libro.

Con la fine dell'estate, di moscerini in casa se ne sono visti sempre meno, finché a un certo punto, verso metà ottobre, sono scomparsi del tutto. Quanto può vivere un ragno ballerino senza mangiare? Due o tre mesi, dicono, ma c'è da fidarsi? Com'è ovvio ho iniziato a preoccuparmi per la salute di Ciop. Anche per quella di Cip, chiaro.
Ogni tanto lascio aperto il vasistas della finestra sotto la ragnatela di Ciop, nella speranza che entri qualcosa, ma niente. Dove cazzo vanno tutti i moscerini quando fa freddo? Emigrano nell'emisfero australe come le rondini?
Nel frattempo Ciop, in questi mesi, ha sferruzzato una ragnatela enorme: è uno spettacolo vederla ondeggiare come la superficie di un mare di seta mosso dall'aria del vasistas, ma purtroppo non serve a niente, di moscerini non ce ne sono.

Ogni mattina, quando mi alzo, controllo se per caso Ciop ha catturato qualcosa; niente, la ragnatela è sempre vuota; sempre più grande, ma sempre vuota. Una mattina però, colpo di scena, nella ragnatela trovo un ragno morto! In un angolo c'è Ciop, fresco e pieno di energia come non lo vedevo da tempo, e in mezzo alla ragnatela c'è questo ragno rinsecchito. Che sia un ragno violino? Sarebbe un grandissimo risultato, l'apice della carriera di un ragno ballerino. Osservando con più calma, vedo che non assomiglia per niente a un ragno violino, assomiglia di più a un ragno ballerino. Non avrà mica mangiato Cip? Un triste sacrificio, ma dopotutto necessario. In realtà Cip è ancora lì al suo posto che mi guarda sospettoso.

Alla fine viene fuori che il cadavere di ragno non è in realtà un cadavere di ragno ma la muta di Ciop. Proprio così: a differenza di cani e gatti, i ragni ballerini fanno la muta. Non so se questo può essere messo fra i pro.
Quindi niente, prendo uno stuzzicadenti e faccio un po’ di pulizia nella ragnatela. Ogni tanto va fatto, ma non è certamente disgustoso come pulire una lettiera. Sarà una mia impressione, ma a me sembra che Ciop abbia imparato a riconoscermi. Non scappa più come prima quando cerco di accarezzarlo. Cioè, scappa ancora, ma non come prima.

L'altro giorno mi chiedevo se non fosse il caso di andare in terrazzo a catturare qualche insetto e depositarglielo nella ragnatela. Poi però ho pensato: che morte orribile sarebbe? Immagina se qualcuno ti prendesse e ti lanciasse nella tana di una creatura gigantesca che ti immobilizza avvolgendoti in un bozzolo e poi, mentre sei ancora vivo, ti inietta degli enzimi digestivi che liquefano i tuoi tessuti interni e pian piano li aspira, trasformandoti lentamente in un sacchetto di pelle vuoto. Chi potrebbe mai augurare una morte del genere a una persona, anche se è un insetto?
Quindi che fare? Da un lato non voglio essere la causa diretta di una fine così tremenda, ma dall'altro sarebbe terribile se Ciop morisse, vero Cip?
Cip si limita a fissarmi senza nessun entusiasmo.
Peccato che non esistano le crocchette per ragni: piccole crocchette di mosca da versare tutti i giorni in una ciotolina nella ragnatela. Sono forse l'unico in tutto il pianeta ad avere in casa dei ragni? Non credo.

L'altra notte mi sono svegliato intorno alle quattro, ero agitato; dormo sempre male quando Maria Paola è via. Dopo qualche inutile rigirata nel letto, decido di farmi qualche goccia di Lexotan, così mi alzo per andarlo a prendere. Accendo la luce in camera e sul muro vedo un ragno! Un ragno di notte (✅), senza ragnatela (✅), circa 5 cm comprese le zampe (✅)! Prendo la ciabatta e lo ammazzo. Mi dispiace, ma non potevo mettermi a esaminarlo con attenzione, metti che nel frattempo scappava in qualche anfratto? Chi lo trovava più? Sì, ok, per i ragni siamo paesaggio, ti mordono solo se li schiacci eccetera, tutto vero, ma io col cazzo che dormo se ho il dubbio di avere in camera un ragno violino a briglia sciolta!
La mattina dopo, mentre mi faccio il caffè, guardo la ragnatela di Ciop e non c'è più. Cioè la ragnatela c'è ancora, è Ciop che non c'è più. Inutile che dica quello che ho provato.

Ma perché? Perché, dico io, hai lasciato la tua ragnatela per metterti a girare per casa di notte? Non potevi spostarti di giorno come fanno tutti i ragni innocui? Forse volevi venire nel letto con me a farmi compagnia? Il solo pensiero mi fa venire un nodo alla gola.
Leggo che i ragni ballerini abbandonano la loro ragnatela quando ritengono che il posto non sia più sicuro o per andare in cerca di cibo, e quando lo fanno, lo fanno di notte. Sarà...
Vediamo se lo farà anche Cip.

Ad ogni modo, non capisco come la gente possa abitare a Sydney.


LA COSIDDETTA CARBON FOOTPRINT

Il cambiamento climatico è un fatto accertato: ci sono i dati, c'è una spiegazione fisica, c'è il largo consenso della comunità scientifica (non dei media o dei tuttologi da social, ma di chi studia il clima per lavoro). Per gli stessi motivi (dati, spiegazione, consenso) è anche un fatto accertato che questo cambiamento sia dovuto alle attività umane e che, altro fatto ancora, senza contromisure di qualche tipo saranno cazzi non solo per i coralli e le foreste di kelp, ma anche per gli esseri umani.

Questi sono tutti fatti e tutte le persone informate e obiettive li riconoscono senza problemi; c'è invece più difficoltà a riconoscere un altro fatto altrettanto fattuale e molto più elementare, cioè che la mia iniziativa personale non ha nessun effetto sul clima del pianeta. Anche qui ci sono i dati: la concentrazione di CO₂ in atmosfera non è in nessun modo correlata con i chilometri che faccio in macchina ogni settimana (ho controllato); c'è una spiegazione fisica nota: io consumo molta meno energia rispetto a un intero pianeta; e c'è anche il largo consenso di tutte le persone che sanno contare: 1 è molto minore di 8 miliardi.
Io, da solo, non conto niente. Neanche tu conti niente, eh, non è un problema che ho solo io. Che io domani decida di andare a Pechino con un trattore a gasolio o in pattini a rotelle, per il clima del pianeta non fa assolutamente nessuna differenza. Purtroppo i problemi globali sono fatti così: li si può risolvere solo con politiche globali, non con l'iniziativa personale.

Ciononostante spesso mi capita di sentire qualcuno che rinuncia a prendere l'aereo perché gli aerei hanno un'alta carbon footprint, cioè emettono molta CO₂ per passeggero e per chilometro percorso. Magari si ponesse questo problema anche Putin prima di lanciare i suoi missili...
Sicuramente la preoccupazione è giusta, ma la conclusione è sbagliata: se tu, per conto tuo e senza consultare il resto del pianeta, decidi di non andare mai più in vacanza in aereo e di nutrirti solo con polpette di compost, il risultato che ottieni non è salvare l'umanità, è solo farti del male. Purtroppo i tuoi comportamenti privati non modificano la CO₂ in atmosfera nemmeno di un ppm.

L'obiezione che viene fatta in questi casi è "ma se tutti facessero così eccetera", che è vero: se tutti rinunciassero a usare l'aereo, questo ridurrebbe le emissioni globali di CO₂ di circa il 2 o 3%, ma ciò non significa che tutti rinunceranno a usare l'aereo dopo che ci avrò rinunciato io, perché fra quello che faccio io e quello che fa il resto del mondo non c'è nessun nesso di causa-effetto (anche questo è un fatto). Se una proposizione condizionale è vera, questo non fa avverare la sua condizione.

Se io fossi Leonardo DiCaprio o Taylor Swift sarebbe diverso, i miei comportamenti potrebbero essere di esempio per milioni di persone e magari contribuire a cambiare le abitudini del mondo, ma io sono io e, credo di averlo già detto, non conto niente. Aggiungiamo poi che Leonardo DiCaprio e Taylor Swift non solo prendono l'aereo senza problemi ogni volta che pare a loro, ma hanno pure il jet privato. Ti rendi conto? Ci sono persone comuni che rinunciano alle loro vacanze per salvare il pianeta (le conosco) e questi stronzi usano il jet privato anche per andare a fare la spesa. A me sembra ingiusto.

Ingiusto e anche concettualmente sbagliato, perché in realtà, basta pensarci un attimo, la rinuncia di prendere un aereo non solo non fa diminuire le emissioni di CO₂, ma le fa aumentare. È un effetto trascurabile e totalmente insignificante, ma pur sempre opposto rispetto all'effetto altrettanto trascurabile e totalmente insignificante che ci si era prefissati di ottenere con la decisione di non prendere l'aereo.
È molto semplice: supponiamo che il mio sogno sia andare in vacanza alle Maldive (c'è gente che ha queste perversioni), in questo caso la mia carbon footprint per un volo di andata e ritorno Bologna - Malè sarebbe circa 2000 kg di CO₂. Siccome 2 tonnellate è tantino, il senso di colpa potrebbe indurmi a rinunciare a un viaggio a cui tengo tanto e farmi ripiegare su San Benedetto del Tronto: 300 km con una macchina a benzina, andata e ritorno, corrispondono a circa 200 kg di CO₂, che è un fattore 10 in meno. Evviva! Farò delle vacanze di merda, ma almeno potrò illudermi di avere salvato l'umanità!
Invece no.
Se io non salgo su quel Boeing 777, non è che lui non parte; il volo parte né più né meno e emetterà tutta la CO₂ totale che deve emettere con o senza di me, visto che il peso di un solo passeggero è trascurabile rispetto al peso di tutto l'aereo. Quindi l'unico effetto che avrà la mia scelta ecologista di andare a San Benedetto del Tronto è che verranno immessi in atmosfera 200 kg di CO₂ in più rispetto a quelli che sarebbero stati emessi se fossi andato in aereo alle Maldive.

Salvare l'umanità da soli è più complicato di quello che si potrebbe pensare.

L'ISOLA DESERTA

Mi piacerebbe dire che la mia passione per le isole tropicali è iniziata in un modo nobile, che so, leggendo L'isola del tesoro di Stevenson o guardando i dipinti di Gauguin, invece è iniziata facendo la cacca. Mi spiace, purtroppo sono una persona sincera.

Per qualche motivo, cercare isole tropicali con Google Maps mi aiuta ad andare in bagno tutte le mattine, in qualsiasi posto io mi trovi, persino in hotel. Un tempo fare la cacca in hotel non era una cosa banale: avevo bisogno di ambientarmi, testare l'insonorizzazione del bagno, valutare l'efficienza della ventola di aspirazione e altre cose così: ora invece mi siedo sul water (qualsiasi water!), sorvolo un paio di isole e plof: missione compiuta. Questo trucco funziona talmente bene che, se per caso mi metto a guardare isole tropicali in un momento qualsiasi della giornata, è facile che mi venga da correre in bagno. Si potrebbe dire che le isole tropicali mi fanno cagare, ma nel senso buono. Fare la cacca è un momento di vulnerabilità perché ti esponi all'attacco di un predatore, sei in una situazione precaria e lasci tracce olfattive che possono facilitare la tua localizzazione, credo sia per questo motivo che gli animali tendono a farla sempre nello stesso posto: è collaudato e sicuro. Quindi si può dire che, nel mio caso, un posto che mi fa sentire al sicuro, molto più al sicuro del bagno di casa mia, è la spiaggia di un'isola tropicale.

Com’è ovvio, guarda un’isola tropicale oggi, guarda un’isola tropicale domani, col tempo mi è venuta voglia di andarci davvero in una di queste isole, così ho iniziato a documentarmi sui vari arcipelaghi, gli oceani, le barriere coralline eccetera, proprio io che ho sempre odiato il mare. In realtà, come ora ho capito, io non ho mai davvero odiato il mare, quello che odiavo erano gli stabilimenti balneari, i mozziconi di sigaretta nella sabbia, la musica molesta, le costruzioni abusive sulla spiaggia e così via, cioè odiavo il mare nella sua versione antropizzata che, alla fine, è un modo di amare il mare.

– Ehi, ChatGPT, dimmi un modo di esprimere il concetto "amare il mare" senza scrivere una frasetta così orribile.
– Puoi dire: "il mare mi dà vita", "il mare è il mio rifugio", "trovo pace tra le onde". Ti piacciono queste espressioni?
– Ok, come non detto.

È curioso quanto sia diffusa negli esseri umani l'attrazione verso il mare. Cosa c'è di più lontano da un essere umano del mare? Neanche riusciamo a respirare nel mare. Probabilmente abbiamo qualche antico frammento di DNA che risale a quando i nostri antenati primordiali, circa mezzo miliardo di anni fa, vivevano sui fondali degli oceani. Forse il richiamo che sentiamo verso il mare è il desiderio di questa creatura ancestrale di tornare a casa. Sembra tutto molto poetico, vero? Lo è un po' meno quando vedi com'erano fatti questi nostri famosi antenati.


Se può interessare, non avevano l'ano.

Sia chiaro, razionalmente il mare mi fa paura: ho paura delle correnti, degli squali, delle cubomeduse, dei pesci pietra, delle code delle razze e sicuramente di tante altre cose che ora non mi vengono in mente, però istintivamente il mare mi fa sentire a casa. Anche solo lo sciabordio delle onde mi tranquillizza, motivo per cui ogni volta che posso faccio partire la lavastoviglie.

L'altra mia grande passione è la solitudine. Anche questa è una passione abbastanza comune, lo so, ma con mio grande stupore non così comune come meriterebbe: non solo ci sono tante persone che non hanno nessun problema a stare in mezzo alla folla (le invidio), ma addirittura c'è chi di proposito e attivamente ricerca la compagnia degli sconosciuti, come quelli che, quando sei seduto da solo in una sala d'attesa vuota, vengono a sedersi proprio nel posto vicino al tuo. Perché? Qual è il piacere di sentire i borborigmi di uno sconosciuto?

La mia avversione per la folla non è necessariamente un'avversione per le singole persone che la compongono, che per me potrebbero anche essere ottime persone, rispettose degli altri e tutto quanto (anche se quasi sempre sono dei buzzurri), la mia è un'avversione per la loro quantità; mi darebbe fastidio anche stare in mezzo a una folla di me stessi. Il mio problema è che, se sono nella folla, non riesco a pensare ad altro che alla folla, non riesco ad astrarmi e pensare al posto in cui mi trovo.
Non capisco come facciano quelli che si ammassano attorno alla Gioconda ad apprezzare l'opera che stanno guardando. Io, quando vado in un museo tipo il Louvre, non provo nemmeno ad avvicinarmi alle opere cosiddette iconiche, meglio guardare le teche con i cocci dei vasi attici in tutta tranquillità, piuttosto che la Gioconda stipati come sull'autobus il lunedì mattina. Il piacere di stare in un posto che non si conosce, qualsiasi posto, sta nel poterlo perlustrare con calma, goderselo così com'è senza alterazioni o interferenze; se sei in mezzo a una folla di turisti, è chiaro che non puoi dire di essere veramente nel posto in cui sei, è come bere un bicchiere di Barolo con il chewing-gum. Questo è il paradosso del turismo di massa: i turisti cercano l'autenticità dei luoghi, ma la loro stessa presenza gliela nega, primo perché li affollano, secondo perché li trasformano in parchi a tema e mangiatoie.
Sembra il famoso esperimento quantistico della doppia fenditura in cui gli elettroni si distribuiscono secondo una figura di interferenza: se cerchi di rilevare in quale delle due fenditure passano gli elettroni, distruggi la figura di interferenza (se non conosci l'esperimento della doppia fenditura, cerca cos'è: è una di quelle cose che ti fanno sospettare che questo universo sia uno scherzo).

Un po' di tempo fa ho letto che le persone che fanno turismo sono il 6%. Cioè, non so se mi spiego, su 8 miliardi di persone che attualmente calpestano la superficie di questo pianeta, solo mezzo miliardo può permettersi di viaggiare per piacere o gli è mai venuto in mente di farlo. Questo significa che con l'aumentare del benessere economico e della conoscenza, il numero di turisti è destinato a esplodere, mentre purtroppo i posti da visitare sono sempre quelli: quando i turisti saranno il triplo, non è che ci saranno tre Gioconde.
Per esempio l'anno scorso mi sono detto: andiamo a vedere il Partenone! È una delle mete turistiche più famose del mondo, ma io, credendomi furbo, ho pensato: ci andrò a metà ottobre, di lunedì mattina, appena apre.
Questo il risultato:


Pensa quando i turisti saranno il 18% o il 75%. Di tutte le cose che si suppone Dio abbia detto agli esseri umani, l'unica che hanno recepito perfettamente è "andate e moltiplicatevi"; magari avessero messo in pratica così alla lettera anche "non uccidere".

Dunque l'isola deserta, benissimo, ma quale?
Specifichiamo subito che l'isola deserta non può essere veramente deserta, altrimenti morirei nel giro di due giorni, quindi tutti questi meravigliosi atolli disabitati mi sono inevitabilmente preclusi.




Cosa importante da specificare è che l'isola deve essere un atollo corallino, non un'isola montagnosa che scende a picco nell'oceano. Gli atolli hanno diversi vantaggi: hanno spiagge che degradano lentamente nel mare; hanno una laguna protetta dalla barriera corallina dove le acque sono calme e gli squali sono piccoli; la sabbia, essendo fatta di coralli sbriciolati, non è così fine come la sabbia di granito e questo rende l'acqua trasparente anche su fondali sabbiosi. Tutto questo fa sì che il mare degli atolli tropicali sia una meravigliosa piscina naturale di acqua tiepida e trasparente, dove puoi sguazzare spensieratamente fra i pesci dimenticandoti di esserti evoluto in un mammifero.

Dopo un po' di ricerche, ho trovato degli operatori turistici che fanno proprio il servizio che in teoria piacerebbe a me: ti prelevano da un qualche aeroporto e poi, dopo alcuni giorni di viaggio in barca, ti abbandonano su un'isola deserta dove hanno preparato una casetta tutta per te, con dell'acqua, un po' di cibo in scatola e il necessario per pescare e cucinare; nient'altro: non ci sono persone (ovviamente), non c'è internet, non c'è elettricità, non c'è acqua calda, non c'è niente, ci sei solo tu e la tua casetta attrezzata. Se per caso c'è un'emergenza, hai a disposizione una ricetrasmittente per chiamare aiuto, in modo tale che qualcuno possa arrivare prontamente sull'isola e constatare il tuo decesso.
Bello, magari più avanti. Ora preferirei iniziare con un'isola deserta dove ci sia una doccia e qualcuno che mi prepari la colazione, diciamo un'isola parzialmente deserta.

A questo scopo esistono le isole private: isole di proprietà di un unico hotel dove possono soggiornare solo gli ospiti e il personale. Ecco un esempio tipico:


Non è necessario dire qual è il problema, vero?


Che senso ha fare la fatica di un viaggio intercontinentale se poi finisci in un posto che sembra l'acquapark di Riccione?


Probabilmente qualcuno, vedendomi disprezzare questi obbrobri, vorrebbe dirmi “purtroppo questo è quello che la gente comune può permettersi”. Ebbene, colpo di scena, l'ecomostro in foto costa 7238 € a notte ("7238" non è un errore di battitura, ma una serie di cifre che sta proprio a significare “settemiladuecentotrentotto”). Sono le vacanze di cantanti e calciatori, non della gente comune.

Quindi, ricapitolando: l’isola deve avere un hotel, ma non deve sembrare la periferia di Busto Arsizio; le spiagge devono essere pure e incontaminate così come sono emerse dall'oceano primordiale; il mare deve essere il posto in cui stanno i pesci, non le ville di plastica; sulle spiagge non devono esserci segni di vita umana a parte i miei; e infine, ovviamente, deve costare un po' meno di 7238 € a notte.
Dopo anni di meticolosa ricerca sul water, finalmente un giorno, alla fine del 2023, ho trovato la mia isola; non dico come si chiama perché non è ancora stata scoperta da nessun influencer e vorrei poterci tornare. È perfetta: c'è un hotel nascosto in mezzo alla foresta, c'è un piccolo villaggio di autoctoni (posso accettarlo) e per il resto è abbandonata a se stessa.


Chilometri e chilometri di spiaggia primigenia non solo senza esseri umani, ma senza nemmeno i segni della presenza di esseri umani su questo pianeta: niente costruzioni, niente ombrelloni, niente mozziconi, niente musica, niente barche, niente aerei, niente di niente; le uniche impronte sulla sabbia sono quelle dei paguri e delle sterne fuligginose. È come essere in Lost, ma senza essere precipitati con l'aereo.


Nel caso te lo stessi chiedendo, la risposta è no, stare su un’isola tropicale non mi fa venire voglia di andare in bagno. Ho scoperto che, per farmi venire voglia di andare in bagno quando sto su un’isola tropicale, devo guardare isole tropicali diverse da quella su cui mi trovo. La mia pancia è una persona complicata.

Un giorno, non so di preciso che giorno fosse perché avevo smesso di fare le tacche sulla roccia, mentre cammino da ore sotto il sole a picco dell’equatore, inizio a chiedermi: ma come facevano i primi esseri umani senza crema solare protezione 50+? Tutti amiamo la natura, ok, ma chiaramente questo amore non è ricambiato. Come facevano i nostri antenati a non ferirsi i piedi con i frammenti di corallo se non avevano le scarpette da scoglio? A dissetarsi senza le bottiglie d’acqua dell'hotel? A sapere dove si trovavano senza GPS? Come ha fatto il genere umano a sopravvivere per 300 mila anni senza vasca da bagno, spazzolini da denti, croissant alla crema e tutto il resto? Se io fossi nato 300 mila anni fa, sarei sicuramente morto alla prima colazione senza avocado toast.
Questo pianeta ci si presenta con un aspetto meraviglioso, ma dietro i suoi paesaggi paradisiaci, le barriere coralline eccetera c’è sempre il solito universo, quello di Plutone, dei nuclei galattici attivi o, molto più banalmente, del vuoto interstellare: un universo totalmente e integralmente ostile alla vita umana.

Fatte queste riflessioni, io e Maria Paola abbiamo giocato a palla nell'oceano.